PDF Lassetto dellitaliano delle traduzioni in un corpus giornalistico Aspetti qualitativi e quantitativi
I dati mostrano con una certa coerenza che il repertorio di riferimento del sottosistema dell’italiano tradotto contemporaneo è di tipo più conservatore rispetto a quello dei testi autoctoni. Nei romanzi italiani anche il numero medio di parole per periodo si è gradualmente ridotto nel tempo, con un calo da 18 a 13 parole (27,5%). Nelle traduzioni, invece, si osserva una riduzione piuttosto brusca dalla prima alla seconda fase, da 16 a 12 parole (25%), seguita da una lieve inversione di tendenza nella terza. https://crowley-houmann.thoughtlanes.net/piattaforma-di-servizi-di-traduzione-professionale-1741368295 I risultati presentano un rapporto tra il numero di occorrenze del verbo avere ed essere al passato remoto e quello degli stessi verbi al passato prossimo.
2.1. Pronomi personali tonici di terza persona
Si è inteso inoltre acclarare, per quanto possibile, se nel tempo il rapporto tra la lingua dei romanzi italiani e quella dei romanzi tradotti sia rimasto stabile o se invece si siano verificati dei cambiamenti ed, eventualmente, quale sia la traiettoria di tali cambiamenti. https://postheaven.net/elite-traduzioni/come-tradurre-un-pdf Come è noto, il pronome tradizionale neutro di terza persona esso sta uscendo dall’uso scritto anche nella funzione di complemento indiretto. Il suo corrispettivo inglese, it, è invece molto presente tanto nella varietà scritta quanto in quella orale. Ci siamo chiesti se a questa differenza d’uso nelle due lingue corrispondesse una maggiore frequenza di esso nelle traduzioni rispetto agli originali italiani.
L’assetto dell’italiano delle traduzioni in un corpus giornalistico. Aspetti qualitativi e quantitativi
Tale riduzione generalizzata può essere interpretata come una preferenza per soluzioni che evitano l’uso del pronome oppure come un segnale dell’incertezza riguardo allo standard attuale del pronome di terza persona. Sembra, infatti, che i traduttori, e più tardi anche gli autori, abbiano spesso tentato di aggirare il problema omettendo del tutto il pronome soggetto oppure oscillando, in mancanza di un modello forte di riferimento, tra le forme lui/lei ed egli/ella, dove le prime sembrano oggi prevalere anche nella funzione di soggetto. Fatta questa precisazione, osserviamo che i risultati tenderebbero a confermare una progressiva riduzione del peso del congiuntivo nella narrativa in lingua italiana, tanto negli originali quanto nei romanzi in traduzione.
- Seguendo Even-Zohar (1990), si potrebbe ipotizzare che le traduzioni rivestano un ruolo diverso (di consolidamento, di rinnovamento o di conservazione) nel polisistema letterario italiano nei diversi periodi considerati.
- Risulta pertanto infondata l’impressione di tanti (tra cui Coletti 2011), secondo cui in generale le traduzioni sarebbero linguisticamente più povere rispetto ai romanzi italiani.
- Nelle traduzioni, invece, si osserva una riduzione piuttosto brusca dalla prima alla seconda fase, da 16 a 12 parole (25%), seguita da una lieve inversione di tendenza nella terza.
- Ci siamo prefissi, in primo luogo, di verificare se vi fosse un’effettiva regressione nell’uso di queste forme; in secondo luogo, di osservare se in tal caso in questo processo le traduzioni si allineassero con gli originali italiani o meno.
- Possiamo concludere, dunque, che la lingua delle traduzioni odierne, lungi dall’essere «livellata su un registro medio» (Coletti 2011, 49) è più formale e “corretta” rispetto a quella dei romanzi italiani.
Anche in questo caso, quindi, si riscontra che mentre nella fase centrale lo stile delle traduzioni si distaccava da quello dei romanzi autoctoni per un minor livello di formalità, nelle traduzioni contemporanee vi è un relativo recupero di un tempo verbale sempre meno usato negli originali pubblicati nella stessa fase. Ancora una volta vale la pena ricordare che alcune case editrici insistono sull’uso del passato remoto nelle traduzioni anche laddove il traduttore aveva scelto il passato prossimo. Ribadiamo che non rientra negli obiettivi del presente studio speculare sulle cause di questo cambiamento. Notiamo solo che i dati ricavati per i romanzi autoctoni sembrerebbero confermare una tendenza a una trasmissione più diretta e concisa delle informazioni, come già aveva osservato De Mauro (1999, 194) e un certo snellimento della sintassi del periodo in linea con quanto avviene nelle altre lingue europee (Santulli [2009, 167] parla di una «tendenza alla disarticolazione»). La tradizionale propensione all’amplificazione e alla complessità sintattica, che si esprime anche nella lunghezza dei periodi, non solo sembra più contenuta nei testi tradotti (come aveva già notato Cortelazzo 2010, XV), ma è oggi meno accentuata anche nei testi letterari autoctoni. Anche in questo caso essere e avere sono stati considerati sia come ausiliari che come verbi autonomi, dal momento che il rapporto tra trapassato remoto e trapassato prossimo è analogo a quello tra passato remoto e passato prossimo. Per appurare tale tendenza all’impoverimento, siamo ricorsi a un indice che misura la varietà lessicale denominato standardised type/token ratio (STTR) fornito dal software di analisi testuale WordSmith Tools. Questo indice è ottenuto mediante il ricalcolo da zero ogni mille vocaboli del rapporto in termini percentuali tra il numero delle parole diverse (type) e il totale delle parole o occorrenze (token) di un dato corpus; successivamente https://www.lagiornatadeltraduttore.it/ il programma procede al calcolo della media di tali rapporti percentuali.
Numero 21 autunno 2021
Al contrario dell’italiano, che è una lingua “a soggetto nullo”, l’inglese obbliga a impiegare un nome o un pronome in funzione di soggetto. Ci si chiede, allora, se le traduzioni dall’inglese mostrino un uso più frequente dei pronomi personali soggetto, come hanno dimostrato precedenti analisi condotte su corpora testuali differenti (per esempio Cortelazzo 2007b; Cardinaletti 2004). Quanto alle traduzioni, si osserva che, pur essendo toccatedal calo graduale nell’uso di questo tempo verbale, nella prima e nella terza fase presentano un maggior uso del passato remoto rispetto ai romanzi autoctoni, ulteriore indicazione di una strategia conservatrice e di una predilezione per un’idea di “standard letterario”. Possiamo concludere, dunque, che la lingua delle traduzioni odierne, lungi dall’essere «livellata su un registro medio» (Coletti 2011, 49) è più formale e “corretta” rispetto a quella dei romanzi italiani.